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Basics
22 agosto 2019

“Vogliamo discutere dei problemi fondamentali, ma vogliamo farlo su una base tecnica di soluzioni pratiche”, ha dichiarato il Viceministro degli esteri svizzero e Segretario di Stato Pascale Baeriswyl alla sessione di apertura della presidenza svizzera del Foro di cooperazione per la sicurezza (FSC) del 16 gennaio 2018. Si sono uniti a questa conversazione Matthias Halter, responsabile per le politiche sul controllo degli armamenti e il disarmo del Dipartimento federale svizzero della difesa, e Claude Wild, Rappresentante permanente della Svizzera presso l’OSCE e Presidente dell’FSC.

Lei ha rappresentato la Svizzera in molti contesti internazionali, tra cui le Nazioni Unite a New York. A suo avviso, come si inserisce il Foro OSCE di cooperazione per la sicurezza nel contesto dell’architettura di sicurezza globale?

Pascale Baeriswyl: La nostra sicurezza è attualmente messa in discussione a tre livelli diversi: frammentazione e polarizzazione delle società, indebolimento delle istituzioni nazionali e, a livello multilaterale, instabilità dell’ordine mondiale. L’OSCE è speciale perché può agire a tutti e tre i livelli. Può essere molto vicina alle persone direttamente sul terreno. Durante la crisi in Kosovo, ad esempio, quando è stata dichiarata l’indipendenza che ha reso difficile la presenza e l’azione di altri attori, la Missione OSCE è rimasta l’unica ancora attiva in tutto il paese, occupandosi di questioni come i diritti delle minoranze. Al tempo stesso l’OSCE può contribuire a rafforzare le istituzioni a livello nazionale, a costruire democrazie vivaci o a mantenerle vive.

Al livello multilaterale, credo che l’OSCE occupi una posizione particolarmente favorevole per preparare il campo d’azione, ad esempio in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Pensiamo alla situazione in Ucraina, per la quale abbiamo preso in considerazione un’eventuale missione ONU. Ritengo che la SMM sia stata un mirabile risultato, che ha richiesto molto impegno, anche da parte della presidenza svizzera. Forse in un momento successivo avremo bisogno di una sorta di missione ONU per giungere a una soluzione sostenibile. L’OSCE, con tutti gli strumenti a sua disposizione, può costruire il consenso – essendo un’organizzazione basata sul consenso – e può anche avvalersi del fatto che quattro dei cinque poteri di veto all’ONU sono di paesi che aderiscono all’OSCE. Pertanto, se si riesce a costruire un consenso in seno all’OSCE, la possibilità di trovare una buona soluzione al Consiglio di sicurezza è decisamente maggiore.

Credo che l’OSCE e il suo Foro di cooperazione per la sicurezza costituiscano un esempio di buone pratiche di un’organizzazione regionale costituita ai sensi del Capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite, che dovrebbero essere complementari al livello globale. Soprattutto in tempi di crisi, questo tipo di collaborazione è assolutamente fondamentale per mantenere realmente vivo il nostro ordine multilaterale internazionale.

In un momento in cui il livello di fiducia tra gli Stati partecipanti è basso, la Svizzera non ha esitato a mettere all’ordine del giorno temi difficili. Allo stesso tempo, avete posto l’accento su misure pratiche basate sugli strumenti esistenti.

Pascale Baeriswyl: Ho trovato interessante venire qui oggi e riscontrare quanto le tensioni siano tangibili. Negli ultimi due mesi mi sono recata presso diverse organizzazioni multilaterali e tutte si trovano ad affrontare sfide importanti. Ciò è percepibile quando gli Stati partecipanti prendono la parola, nel modo in cui formulano i loro interventi. Non è come al Consiglio d’Europa, non è lo stesso tipo di crisi che si riscontra in seno alle Nazioni Unite, ma è molto presente.

Vogliamo discutere dei problemi fondamentali, ma vogliamo farlo su una base tecnica di soluzioni pratiche. È una linea sottile che probabilmente in alcuni campi non darà risultati, certamente non in quattro mesi. Ma se riusciamo a dare un nuovo impulso e un nuovo inizio ad alcuni dibattiti, potremo dire di aver già dato un contributo al rafforzamento della fiducia e di aver avuto successo.

Claude Wild: Nell’assumerci il rischio di includere alcuni elementi che finora erano stati elusi, come alcuni aspetti che riguardano la guerra moderna, siamo stati effettivamente un po’ audaci. Inserendo questo punto nella nostra agenda ci auguriamo di avviare un dibattito sulla situazione in cui siamo. Vogliamo affrontare la realtà con imparzialità e far fronte ai problemi.

Abbiamo a disposizione uno strumento, il Documento di Vienna [misure concordate per il rafforzamento della fiducia e della sicurezza], che viene in realtà attuato solo parzialmente, ma vi sono parti che funzionano e noi vogliamo migliorarle ulteriormente, ed è questa la possibilità che ci si presenta. Ci rendiamo conto che, a causa delle realtà politiche, non è realistico pensare di modernizzare il Documento di Vienna in quattro mesi, ma se ci concentriamo sull’attuazione del documento stesso possiamo forse creare spazi in cui, al momento, la fiducia non esiste. Ad esempio, la disposizione prevista dal Capitolo IV relativa ai contatti tra accademie militari è una parte del Documento di Vienna che non è stata ancora attuata. Data la difficoltà di avere contatti tra gli Stati maggiori, potremmo forse iniziare con le accademie militari, che formano la prossima generazione di coloro che potrebbero cooperare tra loro o contrapporsi l’uno all’altro.

Un nuovo punto dell’ordine del giorno riguardo cui la Svizzera può offrire la sua esperienza è quello delle società private militari e di sicurezza (PMSC).

Claude Wild: Abbiamo inserito le PMSC nella nostra agenda perché la Svizzera è depositaria della Convenzione di Ginevra e abbiamo ritenuto necessario chiederci come si combattono ora le guerre moderne. Dagli anni ‘90 riscontriamo sempre più la presenza sui campi di battaglia di persone armate che sono ingaggiate dagli Stati ma che non fanno parte delle forze armate. Qual è il loro status giuridico? Gli Stati sono tenuti ad applicare o meno il diritto internazionale umanitario in questi casi? Chi ritenere responsabile se una di queste persone commette un crimine di guerra?

Sono queste le domande alle quali noi, in quanto Stato depositario, dovevamo rispondere. Ci siamo proposti di colmare queste lacune del diritto internazionale facendo appello al senso di responsabilità degli Stati, avviando i negoziati sul Documento di Montreux. Si tratta di un trattato internazionale firmato dagli Stati in cui questi ultimi si assumono l’impegno, nel caso in cui si avvalgano di contraenti privati accanto alle loro forze militari, di utilizzare tali contraenti in modo responsabile, nel rispetto del diritto umanitario internazionale.

Abbiamo anche assunto un ruolo guida nel quadro di un altro documento, non firmato dagli Stati: il Codice di condotta internazionale per le PMSC. È firmato dalle stesse imprese che offrono i loro servizi sul mercato e che hanno interesse a sapere che gli Stati che le retribuiranno verificheranno se sono in buona fede o sono dei criminali camuffati, e sono altresì interessate a dimostrare di aderire a questo codice di condotta, a rispettare questi standard.

Dopo aver preso l’iniziativa su questi due documenti, che interessano i contraenti privati e gli Stati che li impiegano, vogliamo affrontare la questione insieme agli Stati partecipanti. Ci auguriamo che un numero sempre maggiore di Stati dimostrino responsabilità in questo campo, che costituisce una preoccupazione molto concreta per qualsiasi paese moderno.

La Svizzera prevede inoltre di proseguire i dibattiti su temi consolidati in seno all’FSC, come le armi di piccolo calibro e leggere (SALW) e le scorte di munizioni convenzionali (SCA).

Claude Wild: Non dobbiamo mai dimenticare che le armi di distruzione di massa attualmente più utilizzate sono le armi di piccolo calibro e leggere, non le armi nucleari. È estremamente importante affrontare in modo adeguato tale questione, che è in gran parte interna, combattendo il commercio illecito di tali armi e garantendone lo stoccaggio sicuro, in particolare nelle regioni in cui i conflitti possono riaccendersi. La Svizzera è il principale donatore in Bosnia al programma di gestione delle scorte, e siamo attivi anche in Moldova.

Matthias Halter: Occorre garantire lo stoccaggio di munizioni e di SALW non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche dell’incolumità delle persone. Gli esplosivi si deteriorano nel tempo e ciò porta a esplosioni accidentali che possono colpire la popolazione civile. Siamo molto impegnati in attività di rafforzamento delle capacità in modo da garantire che le scorte siano immagazzinate in modo sicuro anche in contesti civili ed evitare la proliferazione e le esplosioni, soprattutto in paesi teatro di conflitti.

Abbiamo elaborato al riguardo linee guida tecniche, stabilite a livello delle Nazioni Unite. I quesiti che ci poniamo riguardano quindi le possibili sinergie tra le attività delle Nazioni Unite in questo campo e le attività dell’OSCE, che si basano fondamentalmente su due documenti, il Documento sulle SALW e quello sulle SCA. Come possiamo interagire tra il livello globale e quello regionale? Come potrebbero essere migliorati questi due documenti, che risalgono al 2004 e non tengono conto degli sviluppi nel frattempo intervenuti?.

Come intende affrontare la Svizzera il tema dell’uguaglianza di genere nei settori della pace e della sicurezza?

Pascale Baeriswyl: A più di 18 anni dall’adozione della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulle donne, la pace e la sicurezza, dovremmo concludere il nostro dibattito sul “perché” e iniziare a chiederci “come”. Ritengo che la risoluzione 1325 offra una ricetta meravigliosa su come realizzare l’uguaglianza di genere: la tripla “P”: promozione, partecipazione e protezione.

La promozione della leadership femminile normalizza il modo in cui il potere viene esercitato. Ciò non significa che le donne in posizioni di potere agiscano sempre in modo diverso, ma è statisticamente provato che gruppi misti possono fare la differenza.

In secondo luogo, la partecipazione delle donne è indispensabile se si vuole costruire la pace. Basta guardare alle immagini dei colloqui di pace sulla Siria. Ci sono solo uomini in posizioni di potere che tralasciano molti aspetti che un gruppo più diversificato potrebbe includere nei dibattiti.

La protezione è al terzo posto. Nel corso dei conflitti le donne sono spesso vittime delle violenze, forse non più degli uomini, ma in modo diverso. Se si guarda all’Ucraina orientale, la situazione delle donne è diversa da quella degli uomini. Per reagire a una situazione di conflitto occorre tener conto delle diverse situazioni di rischio e di minaccia.

Lei ha annunciato una sessione speciale sui risultati positivi raggiunti nel contesto dell’architettura di sicurezza europea.

Pascale Baeriswyl: Dopo secoli di guerre e conflitti, la maggioranza dei paesi europei ha scelto modi pacifici per risolvere i propri problemi. Gli Stati partecipanti dell’OSCE hanno dato prova di volontà politica nel superare la guerra fredda e hanno dimostrato la loro capacità di dare soluzione a guerre e conflitti. Inviteremo ex responsabili politici di alto livello della regione dell’OSCE a parlare delle loro esperienze. È giunto il momento di ricordarci delle nostre comuni storie di successo, a est e a ovest di Vienna, per rilanciare e dare seguito ai risultati del passato recente. Al centro del dibattito ad alto livello sarà l’esame dei modi per superare i conflitti e le crisi e delle dinamiche che potrebbero rivelarsi utili per ristabilire la fiducia nella regione dell’OSCE.

La Svizzera ha scelto le punte di Dufour e di Dunant nelle Alpi svizzere come simboli della sua presidenza del Foro OSCE di cooperazione per la sicurezza (FSC) dei primi quattro mesi del 2019. Il Generale Guillaume-Henri Dufour (1787–1875) è famoso per aver evitato inutili spargimenti di sangue durante la guerra civile svizzera. Henri Dunant (1828–1910) è stato uno dei fondatori del Comitato internazionale della Croce rossa (ICRC).